Centocinquanta giorni. Tanto ci può volere per arrivare ad una diagnosi di tumore, quando ad ammalarsi è un adolescente. Molto più tempo di quanto occorre alla diagnosi di un bambino (137 giorni stimati in media fra la comparsa dei primi sintomi e l’identificazione della malattia, contro i 47 necessari nei bambini sotto i 14 anni). Un ritardo diagnostico che può compromettere la tempestività delle cure e la loro efficacia, e che continua a preoccupare gli esperti, anche dopo il recupero dei rallentamenti dovuti alla pandemia. A portare all’attenzione dell’opinione pubblica questo grave problema la Fondazione Umberto Veronesi organizza da nove anni incontri di sensibilizzazione dedicati al mondo dei giovani, con il progetto nazionale #fattivedere. Il progetto gode del contributo delle delegazioni presenti su tutto il territorio italiano e della collaborazione con il Gruppo di Lavoro Adolescenti dell’AIEOP (Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica).
Sono circa 800 gli adolescenti che ricevono una diagnosi di tumore ogni anno
«Per i circa 800 adolescenti – ossia ragazzi compresi in una fascia di età tra i 15 e i 19 anni – che annualmente ricevono una diagnosi di tumore in Italia, arrivare a una definizione della malattia è più difficile rispetto ai bambini», spiega Andrea Ferrari, pediatra oncologo della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e membro del Comitato Scientifico di Fondazione Umberto Veronesi. «Per diverse ragioni infatti, come ad esempio il diniego di fronte ad un proprio malessere o a sintomi che si protraggono nel tempo; il mancato costante controllo da parte dei genitori – continua – per il pudore che caratterizza l’età della crescita e talvolta purtroppo un problema legato all’accesso alle cure, la diagnosi di un tumore si protrae fino a diversi mesi. Se da un lato è vero che globalmente le percentuali di sopravvivenza dei pazienti adolescenti superano il 70%, dall’altro è documentato per molti tumori le probabilità di guarigione degli adolescenti sono minori di quelle dei bambini».
La conoscenza dei campanelli d’allarme è uno strumento cruciale
L’obiettivo è colmare questo svantaggio, rispetto agli importanti progressi ottenuti negli anni nelle cure pediatriche. Per riuscirci la Fondazione Veronesi sottolinea l’importanza di continuare a migliorare l’accesso ai percorsi diagnostici, ancora oggi non uniforme sul territorio nazionale, e sensibilizzando gli stessi giovani. «Conoscere i possibili campanelli d’allarme, essere informati su fattori di rischio e opportunità di cura, potersi confrontare sugli aspetti clinici e psicologici, infatti, sono strumenti cruciali per aiutare ragazze e ragazzi di fronte ad un’evenienza rara ma possibile, come la malattia oncologica in età adolescenziale», sottolinea la Fondazione.
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