Donne chirurgo, ancora lontana la parità con gli uomini

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Essere donna, oggi, è estremamente difficile in virtù di tutta una serie di discriminazioni, pressioni, difficoltà a cui una donna deve far fronte per affermare il proprio status. Se poi la donna è una persona “particolarmente capace” che decide di avventurarsi nella libera professione gli ostacoli diventano ancora più imponenti. E se una donna ha ambizione di far carriera, com’è giusto che sia, tutto diventa insostenibile ed irto di difficoltà.

È la cosiddetta “questione di genere” che, seppur dibattuta in diverse sedi e usata come vessillo da molti, resta comunque al palo laddove si vivono più come concessioni che come diritti assoluti quelle rare eccezioni di semiparità fra uomo e donna.

In ambito medico e tra i chirurghi, in particolare, poi la situazione si fa ancora più ostica e complicata. I dati pubblicati nel primo rapporto SIC (Società Italiana di Chirurgia) evidenziano quanto essere una donna per un chirurgo sia problema che condiziona la scelta della specialità, la possibilità di formazione ad alto livello e la progressione di carriera.

I numeri la dicono lunga quando si riscontra che il 50% delle chirurghe ritiene di essere stata discriminata nel corso della formazione o professione e che il 63% dichiara che appartenere al genere femminile rappresenta un ostacolo alla carriera. A riprova di queste rilevazioni allarmanti arriva il misero 6% di intervistati che hanno dichiarato di aver avuto una donna come mentore di chirurgia.

Ulteriore elemento d’interruzione di carriera è rappresentato dal periodo di gravidanza e maternità. Meno della metà dei chirurghi donna ha figli, molte sono state costrette a rinunciarvi per poter seguire la carriera giacché hanno notato le difficoltà oggettive delle colleghe. Chi invece ha deciso di coniugare lavoro e famiglia trova altri tipi di problemi. Non esistono infatti nidi aziendali in grado di offrire l’adeguato supporto a queste lavoratrici. E di questo già dal 2015 la WIS (Women in Surgery) ne aveva fatto esplicita richiesta.

È una situazione da non sottovalutare e su cui è necessario intervenire subito. I dati delle iscrizioni alle facoltà ci dicono che il 60% è rappresentato da donne. Fra qualche anno, secondo le statistiche, oltre la metà dei chirurghi saranno donne e le strutture ospedaliere non sono attrezzate per consentire a queste professioniste di conciliare lavoro e famiglia e probabilmente, ancora molte, dovranno cambiare il loro indirizzo a discapito della collettività.

Siamo disposti a correre questo rischio? O possiamo, con una pianificazione attenta, mettere le nostre colleghe al pari di noi uomini? Iniziare un percorso di dialogo e progettazione potrà senza dubbio consentire un ricambio generazionale nella categoria, che non penalizzi una donna per il suo essere madre o moglie ma solo, com’è giusto che sia, per un puro criterio meritocratico che prescinda dal genere ma valuti esclusivamente le reali competenze e capacità di ciascun professionista.

 

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