A 24 ore dal sì di Ema ed Ecdc alla quarta dose per gli over 80 il dibattito tra gli esponenti del mondo scientifico e non, si fa sempre più acceso. Marco Falcone, segretario della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), in un’intervista a Sanità Informazione, fa chiarezza su alcuni dei dubbi maggiormente diffusi tra la popolazione che, nel giro di pochi giorni, si è ritrovata a fare i conti con due importanti novità: prima la circolazione di una nuova variante di Covid-19, la Xe, poi il via libera alla quarta dose per gli ultraottantenni.
Dottor Falcone, qual è l’utilità di inoculare la quarta dose di vaccino anti-Covid a chi ha più di ottant’anni?
«Tra gli anziani, più frequentemente che nel resto della popolazione, si assiste ad una risposta immunitaria da vaccino ridotta. Per questo, inoculare la quarta dose a chi ha più di ottant’anni gli garantirebbe una maggiore protezione».
La popolazione anziana ha una risposta ridotta al vaccino anti-Covid o a tutte le vaccinazioni in generale?
«La risposta immunitaria che scaturisce da un vaccino è solitamente inferiore nella terza età. Questa differenza, tuttavia, risulta ancora più marcata con la vaccinazione anti-Covid e, di conseguenza, con i vaccini a mRNA».
Sarebbe auspicabile estendere la decisione anche a coloro che hanno tra i 60 e i 79 anni?
«La decisione di riservare la quarta dose solo a chi ha più di 80 anni è del tutto arbitraria, non basata su evidenze scientifiche. La risposta immunitaria al vaccino anti-Covid può essere ugualmente ridotta in un soggetto che ha già compiuto ottant’anni, così come in un individuo che ne ha 78 o 79. Suddividere la popolazione in fasce di età è utile solo ai fini di una migliore organizzazione della campagna di richiamo vaccinale».
È possibile prevedere se chi ha completato il ciclo vaccinale con la dose booster sarà protetto anche in autunno?
«È molto probabile che non sarà protetto. Ne è la dimostrazione l’elevato numero di persone che, pur avendo effettuato tre dosi di vaccino, ha contratto il Covid-19 in queste ultime settimane. I vaccini che abbiamo attualmente a disposizione, infatti, proteggono dalle forme gravi della malattia ma non dal contagio, poiché tarati sul virus originale e non sulle nuove varianti in circolo».
Se la protezione vaccinale dovesse calare, c’è il rischio che il virus possa diventare più aggressivo, non tanto per contagiosità (poiché le varianti sono già risultate essere più contagiose del virus originale), quanto per letalità?
«Non è prevedibile. Ma di sicuro, il prossimo autunno la popolazione sarà protetta non solo dall’immunità vaccinale, ma anche da quella naturale. Negli ultimi tre mesi Omicron ha infettato circa 10 milioni di italiani, cifra quasi sicuramente sottostimata. Per questo, è estremamente probabile che ci troveremo ad affrontare il virus con una doppia arma: non solo i vaccini, ma anche l’immunità acquisita naturalmente dal 20-30% della popolazione. Percentuale che potrebbe ulteriore aumentare nelle prossime settimane con la diffusione dell’ultima variante, la Xe».
Il rischio di imbattersi in una nuova ondata della pandemia potrebbe essere più contenuto se i vaccini venissero, di volta in volta, modificati sulle nuove varianti?
«Certo. Ed è verso questa prospettiva che bisogna puntare. C’è la necessita di inoculare vaccini “aggiornati”. E non si tratta di un’utopia. I vaccini a mRNA possono essere realizzati e immessi sul mercato in tempi molto più rapidi rispetto ai vaccini utilizzati in passato».
Esiste un’alternativa (o più) alla quarta dose?
«Sì, le terapie precoci con farmaci antivirali, in primis quelli a somministrazione orale».
Qual è l’autunno che ci aspetta?
«Credo che sia ragionevole ipotizzare una prospettiva a duplice binario. Da un lato, vaccinare con la quarta dose, o ancora meglio con un nuovo vaccino aggiornato, le persone più fragili e più esposte a rischio di contagio. Dall’altro, implementare l’utilizzo degli antivirali orali che, se somministrai entro i primi 4-5 giorni dal contagio, abbattono rapidamente la carica virale, riducendo i sintomi a quelli di un banale e comune raffreddore».
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