Il nostro cervello è più sensibile agli insulti che ai complimenti, tanto che la reazione ad un’offesa sarebbe simile a quella innescata da uno schiaffo in faccia. È questa la conclusione a cui sono giunti i ricercatori dell’Università di Utrecht. Lo studio, recentemente pubblicato su Frontiers in Communication, ha analizzato le reazioni di 79 donne ad affermazioni di diversa natura, come insulti, complimenti e dichiarazioni descrittive che rispecchiano la realtà dei fatti (luogo di nascita, lingua madre, etc..), utilizzando l’elettroencefalografia (EEG) e il biofeedback della conduttanza cutanea, che si basa sulla variazione della resistenza elettrica della pelle provocata dai diversi stimoli emozionali.
Perché un’offesa è come uno schiaffo in faccia
«Non è la prima volta che gli studiosi si dedicano all’analisi delle reazioni neurofisiologiche che un individuo ha ascoltando affermazioni, più o meno offensive – dice Paola Biondi psicologa e psicoterapeuta, referente dell’Ordine degli Psicologi del Lazio per il progetto Pari Opportunità -. A seconda della tipologia di parole pronunciate, positive o negative, si attivano specifiche aree del cervello. E nel caso degli insulti si tratta delle stesse che intervengono anche quando si riceve uno schiaffo in faccia», sottolinea l’esperta.
La complicità dei ricordi
Ma non è tutto. Come dimostrato anche dagli stessi ricercatori dell’università di Utrech, l’insulto cattura più velocemente e intensamente la nostra attenzione, poiché il nostro cervello “pesca” il significato emotivo dell’offesa ricevuta nella memoria a lungo termine. «Non è un caso che alcuni studi si siano concentrati sugli effetti che scaturiscono dal “no” e, soprattutto, sulle conseguenze che i continui dinieghi possono avere sulla formazione della propria autostima – aggiunge la psicologa -. In chiunque ascolti un “no” si verifica un aumento di cortisolo, comunemente definito l’ormone dello stress che, a sua volta, influenza alcune aree cerebrali come l’ippocampo, implicato nei processi mnemonici e la corteccia frontale, parietale e temporale, ritenute fondamentali per la comunicazione, l’elaborazione delle informazioni, la programmazione e la pianificazione dei comportamenti. Le parole positive, al contrario, coinvolgono le funzioni del lobo parietale cambiando la percezione di sé e degli altri e a lungo andare anche il talamo, cambiando la percezione della realtà».
Gli insulti non sono sempre universali
Gli insulti non scatenano un’analoga reazione in tutti gli individui. La percezione può variare a seconda del soggetto offeso, di chi pronuncia l’espressione negativa e del contesto socio-culturale. «Innanzitutto, se chi riceve l’offesa è un bambino o un soggetto neuroatipico potrebbe percepire l’insulto più grave di quanto realmente sia o, addirittura, confondere l’ironia con l’insulto perché non sempre si percepiscono le sfumature del linguaggio – commenta Biondi -. Ancora, anche le persone dotate di scarsa autostima potrebbero subire conseguenze peggiori di quelle percepite da chi invece è sicuro di sé. Allo stesso modo, la percezione dell’entità dell’offesa può variare ed aumentare se a pronunciarla è una persona cara. In più, ci sono degli insulti che sono considerati tali solo in determinate culture, mentre in altre sono considerate espressioni totalmente innocue. Accade soprattutto per considerazioni a sfondo razziale o omofobiche: laddove le minoranze razziali e sessuali siano totalmente integrate, frasi che ne mettano in evidenza eventuali differenze generalmente sono universalmente accettate e considerate scherzose e mai offensive».
Consigli pratici per scansare le offese
Se il soggetto con scarsa autostima è tra i più vulnerabili alle offese, allora sarà meglio che segua alcuni consigli pratici per evitare che una battutaccia possa rovinargli la giornata. «Innanzitutto – dice Biondi – se un individuo è consapevole di avere poca stima di sé, potrebbe lavorare per migliorare tale percezione individuale. Altra tecnica efficace è sminuire l’avversario, ovvero concentrarsi su un’immagine che lo ritrae a compiere azioni che ne offuschino l’austerità e il potere o in situazioni imbarazzanti, come nell’intimità del bagno di casa propria. Infine – conclude la psicologa – ognuno di noi, a prescindere dal suo grado di autostima, può individuare il proprio tallone di Achille ed allenarsi a parare i colpi che potenzialmente potrebbero essergli inflitti proprio sui punti di maggiore vulnerabilità».
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